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Documenti

Sezione: Documenti

La Liguria è la regione più vecchia d’Italia

Al 1° gennaio 2015 l`età media della popolazione italiana ha raggiunto i 44,4 anni. La popolazione per grandi classi di età è così distribuita: 13,8% fino a 14 anni di età, 64,4% da 15 a 64 anni, 21,7% da 65 anni in su. Gradualmente, ma senza soluzione di continuità, proseguono dunque, sia il processo di crescita della popolazione anziana (19,5% nel 2005) sia quello di decrescita di ragazzi e adulti (rispettivamente 14,1% e 66,3% nel 2005). E’ quanto spiega l’Istat nel rapporto “Indicatori demografici – 2014”. La Liguria è la regione con l`età media della popolazione più alta (48,3 anni) ed anche quella con la più alta percentuale d`individui di 65 anni e oltre (28%). Regioni a forte invecchiamento sono anche il Friuli-Venezia Giulia (46,6 anni di età media con un 25,1% di ultra 65enni) e la Toscana (46,3 e 24,7%). Un equilibrio tra popolazione giovanile e anziana, rileva l’Istat, si è perso ovunque, anche tra quelle regioni del Mezzogiorno che conservano, tuttavia, una popolazione relativamente più giovane. In Campania, la regione più “giovane” del Paese, l`età media è di 41,5 anni e la quota della popolazione di 65 anni e oltre è pari al 17,6% mentre la quota di ragazzi fino a 14 anni di età è del 15,5%. Segue curiosamente non un`altra regione meridionale, ma il Trentino-Alto Adige con un`età media di 42,9 anni, una quota di ultra 65enni pari al 19,8% e una di ragazzi fino a 14 anni del 15,5%. (Askanews)

  • 13 Febbraio, 2015
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Una camminata rapida per invecchiare in salute

 

Uno studio americano conferma la correlazione positiva tra il camminare e la prevenzione del rischio cardiovascolare. La ricerca randomizzata condotta dall’Università della Florida è stata denominata LIFE (Lifestyle Interventions and Independence for Elders); un’indagine ad ampio spettro che ha coinvolto per ben quattro anni oltre 1.600 anziani, di età compresa fra 70 e 89 anni. Il vasto campione di popolazione ha consentito ai ricercatori americani di dedurre che a fare la differenza in una camminata, meglio se quotidiana, è la velocità di passo. Con ripercussioni positive sullo stato generale di salute. Le passeggiate a passo spedito possono quindi assurgere ad elisir di lunga vita, un semplice accorgimento che permettere di invecchiare in salute ed evitare i più comuni disturbi del quadro clinico di una persona over70. In buona sostanza, lo studio statunitense dimostra che un anziano che percorre meno di 0,8 metri al secondo, avrebbe un rischio di morte superiore di più della metà rispetto a chi invece cammina almeno a un metro al secondo. Ancora dallo studio emerge che una attività fisica di circa mezz’ora al giorno sarebbe in grado di ridurre del 18 per cento l’incidenza di disabilità motoria grave, ovvero l’incapacità di camminare per almeno 400 metri, e del 28 per cento l’incapacità permanente di camminare, condizione che affligge milioni di anziani in ogni parte del mondo. Una campagna d’informazione sarebbe quindi utile per risparmiare diversi milioni di euro. Un piccolo investimento in prevenzione capace di migliorare la qualità della vita di milioni di persone.

 

  • 10 Febbraio, 2015
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Investire in prevenzione per guadagnare in felicità

Un euro di spesa sanitaria produce un dividendo in termini di felicità di più di 4 euro. E’ il risultato di un Rapporto elaborato dal team di ricerca del CEIS Tor Vergata con la Fondazione Angelini, dedicato alla Salute, alle sue determinanti e soddisfazione di vita che indicano quanto e in che modo fattori chiave come stili di vita, relazioni sociali, istruzione, spesa sanitaria e salute percepita incidono su malattie croniche e funzionalità fisiche e mentali.
Coordinata da Leonardo Becchetti, Professore di Economia Politica all’Università di Roma Tor Vergata, la ricerca è stata effettuata su più di 100,000 osservazioni individuali sulla popolazione over 50 di 19 paesi europei.
In sostanza, un punto in più di spesa sanitaria sul PIL produce nella popolazione over 50 una riduzione dello 0.1 del numero medio di malattie croniche della popolazione (il che si tradurrebbe se partissimo da una popolazione perfettamente sana in una probabilità individuale inferiore del 10% di contrarre una malattia cronica). Lo studio mostra che solo attraverso questo effetto un euro di spesa sanitaria ne produce non meno di 4 netti (7 lordi) come beneficio in termini di variazione di soddisfazione di vita della popolazione.
Secondo i dati, l’attività di volontariato e più in generale una buona qualità della vita di relazioni affettive migliora le funzionalità e riduce le patologie, tra cui anche la probabilità di contrarre tumori con effetti di risparmio considerevoli per il sistema sanitario. In termini di rischio relativo, chi non fa volontariato ha probabilità quasi doppie di ammalarsi di tumore nei tre anni e mezzo successivi.
Inoltre, in quasi tutto il mondo i laureati vivono di più rispetto a chi ha solo la scuola dell’obbligo. La differenza va dai 10 anni negli Stati Uniti ai 3 anni stimati in Italia. La ricerca indica che le persone con livelli più elevati di istruzione hanno migliori funzionalità fisiche e mentali e si ammalano meno di quasi tutte le patologie eccetto i tumori (ad esempio la quota degli ipertesi tra la popolazione con licenza elementare è 41% contro il 30% tra i laureati, quella del diabete del 15% contro l’8%). Questo dipende sia dall’adozione di stili di vita più sani (con l’eccezione della percentuale di fumatori che non è più bassa tra i laureati), sia dalla capacità di utilizzare meglio l’informazione medica ricevuta. In termini di rischio relativo, chi ha non più della scuola elementare ha probabilità quasi doppie di ammalarsi di diabete o di avere un attacco di cuore di chi ha la scuola superiore nei tre anni e mezzo successivi.  la soddisfazione di salute soggettiva ha un valore predittivo fondamentale per l’insorgenza e l’evoluzione di malattie croniche negli anni a seguire anche quando si controlla per tutti i possibili fattori concomitanti tra cui lo stato presente di salute del paziente. In particolare le persone che, a parità di tutte le altre condizioni (incluse quelle correnti di salute), dichiarano una salute “povera” hanno una probabilità di variazione nel numero di malattie croniche fino a 3-4 volte superiori nei tre anni successivi rispetto a coloro che dichiarano uno stato di salute “eccellente”. La “Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE) – è l’indagine più accreditata oggi a livello europeo in grado di comparare le dinamiche della salute a livello individuale con osservazioni ripetute nel tempo per 19 paesi dell’area OCSE. SHARE è un panel che raccoglie informazioni sulla salute e le variabili socio demografiche per un campione di più di 45,000 cittadini europei dai 50 anni in su con 4 successive indagini sviluppate dal 2004 al 2012. L’indagine consente di lavorare su un complesso di 126,035 osservazioni provenienti da 19 paesi: Austria, Germania, Svezia, Olanda, Spagna, Italia, Francia, Danimarca, Grecia, Svizzera, Belgio, Israele, Repubblica Ceca, Polonia, Irlanda, Ungheria, Portogallo, Slovenia ed Estonia. Il numero di paesi si riduce a 13 nel momento in cui si lavora alle “differenze prime” ovvero sulle variazioni di salute nel tempo per lo stesso individuo, considerando soltanto quei paesi nei quali esistono indagini ripetute nel tempo. Quello che emerge complessivamente dai quattro studi che analizzano il rapporto tra salute e sue determinanti da quattro diverse prospettive sono alcune regole d’oro alcune delle quali consolidano e confermano evidenze e consigli già noti. Una prima concerne l’importanza di svolgere regolarmente attività fisica. In particolare la nostra indagine riscontra da più punti di osservazione l’effetto significativo sul peggioramento delle condizioni di salute della scelta di non svolgere alcuna attività fisica. Una seconda riguarda la dieta. Ciò che si verifica in particolare nella ricerca, che non dispone di dettagli relativi al tipo di alimentazione, è l’impatto negativo sulla salute della condizione di sovrappeso o di obesità. Una terza è relativa alla dimensione sociale. I risultati riscontrano che una vita sociale attiva (familiare, di comunità e di momenti di gratuità realizzati attraverso attività di volontariato) ha un’incidenza positiva e significativa sulla salute. Ma i risultati presentano suggerimenti importanti anche dal lato delle politiche sanitarie. A cominciare dall’effetto positivo e significativo della spesa sanitaria sulla salute con un risultato piuttosto stabile che identifica l’impatto di un punto di spesa sanitaria sul PIL sulla salute (0,10 sulla variazione del numero di malattie croniche mediamente dichiarate, ovvero il miglioramento o il non peggioramento delle condizioni di salute di una persona su dieci). Inoltre, alcune categorie sono particolarmente sensibili agli effetti della spesa sanitaria (donne, persone sovrappeso, persone che non svolgono attività fisica, persone con reddito sotto la mediana nazionale, i non laureati). Dunque, l’indagine fornisce la base metodologica per la definizione di un indice che aiuti a predire la variazione delle condizioni di salute in una determinata area. Ingredienti fondamentali dell’indicatore sono la distribuzione della popolazione per fasce di età, la quota dei sovrappeso, la percentuale di coloro che non svolgono alcuna attività fisica, la qualità della vita sociale, familiare e comunitaria nell’area, la spesa sanitaria in percentuale sul PIL e la qualità dei sistemi sanitari. Combinando il calcolo dell’indice e gli effetti predittivi sulla variazione del numero di malattie croniche è possibile calcolare il costo in termini di felicità derivanti dalla variazione attesa di salute in ogni territorio considerato. (Askanews)

  • 9 Febbraio, 2015
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Sesso, l’età non spegne il desiderio

La “fiamma” non si spegne con l’età: gli uomini e le donne rimangono sessualmente attivi anche a 70-80 anni e, per chi ha la fortuna di avere accanto un compagno amato, non mancano le effusioni tra baci e carezze. Lo rivela una ricerca di università di Manchester e NatCen Social Research, guidata da David Lee e pubblicata sulla rivista Archives of Sexual Behavior. Coinvolti oltre 7000 anziani che perlopiù non hanno mostrato reticenza alcuna a rispondere a domande dirette sulla propria vita sessuale. Oltre metà (54%) degli uomini e quasi un terzo (31%) delle donne over-70 riferiscono di essere sessualmente attivi e un terzo di questi rivela di praticare il sesso abbastanza di frequente – almeno due volte al mese. E’ emerso anche che molti 70-80enni sono ancora affezionati al partner, con il 31% dei maschi e il 20% delle femmine che riferiscono di baciarsi e coccolarsi di frequente. “Prima – spiega Giuseppe Paolisso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) e rettore della II Università di Napoli – si pensava alla sessualità come una sfera dell’esistenza che viene inevitabilmente persa dopo i 50 anni; adesso non è più così. Poiché il sesso fa parte della vita di tutti noi, perderlo è come perdere un arto. Ne consegue – sostiene – che chi è in grado di protrarre la propria vita sessuale nel tempo, gode sicuramente di un migliore benessere psicofisico”. I problemi più frequenti lamentati dalle intervistate sessualmente attive sono le difficoltà nell’eccitarsi (per il 32%) e nel raggiungere l’orgasmo (27%), mentre per i maschi sono le difficoltà erettili (39%). Le malattie croniche e uno stato di salute globalmente non ottimale hanno ovviamente un impatto negativo sulla vita sessuale degli anziani, specie degli uomini. Per lui, chiaramente, spiega Paolisso, ha contribuito a ritardare il tramonto della vita sessuale la disponibilità di farmaci contro la disfunzione erettile; ma attenzione, specie per chi soffre di problemi cardiovascolari, questi farmaci potrebbero presentare brutte sorprese, anche un infarto. Ad ogni modo, il quadro è globalmente roseo e suggerisce che i cambiamenti fisici inevitabili dell’invecchiamento non portano necessariamente ad una diminuzione della funzione sessuale; inoltre che godere di una buona salute fisica e mentale, unitamente alla fortuna di avere un compagno per la vita sono condizioni associate al mantenimento dell’attività sessuale, indipendentemente dagli anni. Insomma, spiega Lee, non è tanto l’età a portare al raffreddamento sessuale, ma piuttosto problemi di salute e conflittualità di varia natura all’interno della coppia. A frenare maggiormente la sessualità degli anziani, sostiene Ferdinando Pellegrino, psichiatra Asl di Salerno, è, “un atteggiamento psicologico di resa. Specie per la donna, la sessualità può diventare un fastidio, e con gli anni lei tende ad assumere un atteggiamento di apatia, cui contribuiscono conflitti coniugali e monotonia, spegnendo complicità tra partner e desiderio”.(ANSA)

  • 5 Febbraio, 2015
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SPERIMENTAZIONE PASSI D’ARGENTO

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  • 24 Novembre, 2014
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ANZIANI MA NON TROPPO

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  • 24 Novembre, 2014
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HappyAgeing è l’Alleanza italiana per l’invecchiamento attivo, nata nel 2014 per promuovere nel nostro Paese politiche e iniziative volte a tutelare la salute dell’anziano e a sviluppare le indicazioni della Commissione europea sul fronte dell’invecchiamento attivo. Di HappyAgeing fanno parte Federsanità ANCI, la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia, Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio, la Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa, la Società Italiana di Igiene, i sindacati SPI CGIL, FNP CISL, UIL Pensionati, e la Federazione Anziani e Pensionati ACLI. Le modalità operative dell’Alleanza si realizzano attraverso la confluenza di tutte le realtà che si occupano del benessere degli anziani e lo sviluppo e la replicazione sul piano nazionale di esperienze realizzate con successo nel contesto locale e validate scientificamente dai partner di HappyAgeing.

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